mercoledì 27 febbraio 2019

IRAN, ieri oggi domani (prima parte)


PREMESSA

Di seguito il primo di un trittico di articoli di recensione sul Vol. 7/18 di LIMES, rivista italiana di Geopolitica, titolo "Attacco all'Impero Persiano".
A differenza che nella scaletta argomentativa del libro, io preferisco partire dalla comprensione di cos'è l'IRAN (tradizioni socio-politico-culturali, elites attuali, conformazione del potere, struttura economica e organizzazione militare) per poi analizzare il quadro di alleanze e ostilità in cui si incardina e, infine, delineare il relativo pensiero strategico persiano.



Cos'è l'IRAN?

Geopoliticamente è una Media Potenza ma ha le potenzialità dell'Impero. Una entità "storica", una geografia etno-linguistica-spirituale cosciente di sé e consapevole di avere un posto nella Storia: un Destino connotato da afflato espansivo, a differenza delle Nazioni.
Le Nazioni per autodifesa salvaguardano il Limes geografico, gli Imperi, invece, avendo forte ascendente nell'Estero vicino, si difendono allargando la sfera di influenza. Gli Imperi si espandono per difendersi da altri Imperi o Nazioni ostili.

Vediamo le caratteristiche dell'Impero IRAN a partire da Geografia e Storia, per poi addentrarci in Società, Politica, Istituzioni, Religione, Economia, Sicurezza & Forze Armate.



GEOGRAFIA

Geograficamente l'altopiano iranico è punto di passaggio obbligato tra Europa-Africa-Medio Oriente con l'Oriente tutto.
Tale centralità nelle vie commerciali e migratorie via terra ha fatto sorgere una particolare autoconsiderazione nelle popolazioni iraniche, soprattutto con terre intorno sono così fertili, grazie ai Grandi Fiumi, da essere ricordate come Culle della Civiltà (Mesopotamia e India).



STORIA

Il segno della Storia dell'IRAN è il pluralismo religioso e il decentramento politico-amministrativo. E la speculare difesa contro imperi accentratrici.


A partire dallo Stato Neo-Assiro (IX-VII esc. a.C) che per la prima volta unifico' la Mezzaluna Fertile sul piano geopolitico, amministrativo, linguistico e culturale: i popoli dell'altopiano si opposero alla penetrazione assira e ciò fu fattore fondante del Regno di Media.
Il Regno di Elam, invece, da due millenni confederazione multireligiosa dell'IRAN sud-occidentale, con una capitale a Ovest, Susa, e un altro polo ad Est, Anshan, dovette soccombere ad Assurbanipal nel 646 a.C. (il quale lascerà il campo ad una coalizione di ribelli interni e la Media). È così che l'elemento iranico giustifica la propria presenza tra Babilonia, Elam, Mesopotamia e IRAN.


Seguirà l'Impero Persiano, che prende le mosse dalla popolazione Parsu, stanziatasi nei territori elamiti di Anshan, altro esempio di integrazione di paesi, spazi, culture, popolazioni differenti sotto la tutela regia, con istituzioni e leggi locali in cambio di tributo e obbedienza.
Persino la corte si sposta in più centri, con prevalenza simbolica di Persepoli; le iscrizioni celebrative reali plurilingue (elamico, accadico, persiano cuneiforme, egizio, aramaico); l'amministrazione regia funziona perlopiù in aramaico, come da prassi assira e babilonese.

È il periodo achemenide, un impero pluralista, poliglotta, dall'Indo al Mediterraneo, un insieme di società e identità locali amministrate e tassate, ma, finché obbedienti, lasciate a sé stesse per altri aspetti.
Un Impero confederale, su cui si innesta il progetto universalistico di Alessandro Magno. I suoi successori, i Diadochi, si discosteranno in parte promuovendo un'impronta culturale quasi esclusivamente ellenica.


Seguiranno i Parti, originari del Nord dell'altopiano, a Sud-est del Caspio. Anche la Partia è pluralista e policentrica.
La dinastia regnante e assistita da Sette Grandi Casate, ognuna con proprie basi di potere, terre inalienabili e cariche semi-ereditarie a corte. Tali Famiglie manterranno un ruolo di primo piano fino al periodo della conquista araba.
Saranno denominate partiche, in medio-persiano pahlav/pahlavi (da Partia, Parthava), parola che in persiano moderno passerà a significare "nobile" e "glorioso".


È nel III sec. d.C. che ERAN (da Eransahr, "paese egli Er"), in forma moderna IRAN, appare come termine con valenza culturale e geopolitica più che etnica. Eran, la centrale delle sette parti del mondo secondo la cosmogonia iranica, si contrappone ad ANERAN, tutto ciò che Eran non è, e TURAN, l'Asia centrale.


Anche l'Impero Sasanide sarà confederale: dinastia originaria della Persia propria, con sguardo geopolitico rivolto verso Ovest contro i Romani, con identità culturale, linguistica e religiosa che non coincide con quella degli iranici del Nord. Il Nord e l'Est restano in mano alle grandi casate pahlavi, il cui assenso è indispensabile ai sasanidi.

Le logoranti guerre coi Romani e i contrasti tra casate parsig, cioè persiane del Sud, e pahlavi sfibrano l'Impero, che si sottomettera' ai nuovi conquistatori arabi.


L'impero arabo-musulmano abbaside è universalistico e pluralista al pari dei precedenti.
Parla e scrive in arabo, ma guarda alla corte persiana e al pensiero greco come modelli. Garantisce tolleranza religiosa e autonomia culturale. Introduce nell'amministrazione gli eredi della nobiltà iranica.
Il mondo iranico è così integrato con la sua distintivita' nell'ecumene islamica.


Nel 1258 i mongoli distruggono il Califfato Abbaside, introducendo l'elemento turcomanno nella Storia di ERAN.
Le successive dinastie saffaride, samanide, dei selgiuchidi, ghaznavidi e dei khwarezmshahi manterrano la struttura policentrica, in un mondo di imperi "nomadici", città poliglotte, iranismo linguistico-culturale, identità religiose universalizzanti (islam, giudaismo, cristianesimo, mazdeismo).
Ancora una volta l'elemento sincretico iranico integra e si arricchisce di una nuova cultura, quella turca.


Nel 1501 è la volta dei Safavidi, un ordine religioso militare azero, dunque turcofono.
Questi promuoveranno lo sciismo duodecimano in una popolazione a maggioranza sunnita, tracciando una frattura importante col resto del mondo musulmano.
Da allora seguiranno tre secoli di conflitto turco-persiano, puntellati dal trattato di Qasr-e Sirin, 1639, che fissera' i confini ovest attuali dell'IRAN, ma soprattutto un confine etno-linguistico che perdura: verso il Golfo, nel Khuzistan "elamita", arabofono e sciita; lungo la frontiera ovest curdofono e sunnita.

I Safavidi crollano nel XVIII secolo sotto i colpi degli afghani, iranici ma non persiani.
Seguirà un periodo di debolezza con protagonisti i Cagiari (1794-1925), anch'essi d'origine turca, che stabiliranno la capitale a Teheran.


I nuovi nemici sono la Russia e l'Impero Britannico, che mireranno a spartirsi le zone di influenza nel paese: infiltrati anglo-russi coesistevano con grandi latifondisti, commercianti e parte del clero nel potere informale che influiva sul potere nominalmente assolutistico dello Scià (Primo Ministro e Ministri da lui nominati, dunque irrilevanti).
Si annoverano i primi timidi tentativi di modernizzazione, che creano in embrione di coscienza statuale: un'opinione pubblica urbana e istruita, affiancata a un clero sciita economicamente autonomo, che si pensano portavoce del Popolo verso lo Stato.
Questo blocco diviene realtà geopolitica nella rivoluzione costituzionale del 1906.


Un militare, Reza Khan, nel 1925 si autoincoronera' Scià e porterà avanti la modernizzazione del Paese tramite il rafforzamento e l'accentramento dello Stato, grazie alla rendita petrolifera.
Sotto Reza Kahn crebbe il ruolo degli alti ufficiali, a danno soprattutto del clero, ma col colpo di Stato contro il leggendario primo ministro patriottico, Mossadeq, 1953, il ruolo dello Scià e dei poteri informali torna sotto l'egida del tallone anglo-americano.


Ecco che la nuova élite frustrata clerico-militare farà leva sulla perdita di dignità nazionale e sulla passività reale agli interessi stranieri per attuare la Rivoluzione, a cui l'ISLAM sciita fornirà appiglio ideologico.
Dunque, RIVOLUZIONE ISLAMICA.

Nella fase rivoluzionaria post-1979 la tendenza universalistica dell'ISLAM farà risorgere la postura imperialistica iraniana, ma ora con ben delineati caratteri nazionali: sciismo e salvaguardia della propria legittima sfera d'influenza in Medio Oriente dagli eretici arabi sunniti (IRAQ Baahtista, Sauditi e Emiratini) e dai loro alleati regionali ed esteri (ISRAELE ed USA).



SOCIETÀ

Oggi società e istituzioni iraniane sono caratterizzate dalla convivenza competitiva tra tre generazioni,
che rappresentano altrettante concezioni della politica, dell'economia, della cultura e di ogni altro aspetto vitale della dimensione sociale.

La prima generazione è quella dei "rivoluzionari", chi visse l'epopea della rivoluzione, composta da ultrasessantenni, dunque oggi molto ristretta.
Generalmente sfiduciati verso USA e Occidente, ma pragmaticamente vaccinati contro logiche estremistiche.


La seconda è quella cosiddetta "del fronte", coloro che vissero durante la lunga guerra contro l'IRAQ, approssimativamente il 30% della popolazione.
Fascia più combattiva che intende consolidare prestigio e risultati ottenuti in seguito alla guerra.


Per esclusione, alla terza generazione appartengono la maggioranza degli iraniana, figlia del baby boom degli anni 80.
Costituiscono ben il 70%, il cuore del corpo elettorale e i più colpiti da disoccupazione, incapacità di rendersi autonomi dal nucleo familiare e insoddisfazione nei confronti di un sistema a loro dire incapace di risolvere i problemi strutturali.
Non ancora rappresentati in Parlamento, di difficile decifrazione, tra essi prevale crescente disaffezione verso la politica e nichilismo.





POLITICA


A livello ideologico, la politica interna, dopo la Rivoluzione e l'instaurazione di una forma di governo teocratica, rispecchia la tripartizione dell'islam sciita: modernismo, tradizionalismo e conservatorismo.

Cosi, in un panorama in cui il singolo politico prevale sul partito, le correnti politiche iraniane sono speculari: riformismo, pragmatismo e conservatorismo.

Il riformismo/modernismo ha interesse a un rinnovamento religioso e politico commisurato all'evoluzione della società, del progresso tecnologico e della dimensione sempre più ampia della geopolitica nazionale (liberalismo economico, centralità istituzioni politiche, moderazione geopolitica, apertura verso le riforme le sociali).

Il pragmatismo/tradizionalismo è una componente a se' stante, un ponte tra riformismo e conservatorismo.
Riconducibile all'ex presidente Rafsanjani, ha una visione economica moderatamente neoliberista, ma secondo il tradizionalismo politico e sociale, da vero ibrido ideologico.
L'attuale presidente, Rohani, è di questa corrente.

Il conservatorismo, infine, suddiviso tra ultraconservatori e modernisti/innovatori, esalta il ruolo politico della religione, la primazia del sistema teocratico e la difesa del concetto di velayat-e faqih khomeiniano.



ISTITUZIONI

L'architettura della Repubblica Islamica poggia sul principio del velayat-e faqih, (il governo del giusperito/giureconsulto, cioè del Consiglio dei Guardiani, con la Guida Suprema in posizione apicale), su cui la dottrina è sempre stata divisa.
Fino alla sua morte, il primo impianto costituzionale fu costruito attorno la figura eccezionale dell'ayatollah Khomeini, il quale godeva, grazie alla reputazione, di una supremazia politica incontrastata, situazione irripetibile.
Così nel 1989 fu necessaria una riforma costituzionale, che vedeva ridimensionata la figura della Guida Suprema, ora sostanziale primus inter pares cui spetta ancora "l'ultima parola", ma mai in contrasto con gli equilibri politici istituzionali.

La struttura istituzionale vede tre organi eletti a suffragio universale: Parlamento (che approva al nomina dei ministri e scegliere il Consiglio dei Guardiani, che assomma i compiti di una Corte Costituzionale e di una Consulta per le elezioni), Presidente (che nomina il Governo) e Assemblea degli Esperti (che nomina la Guida).

A sua volta la Guida nomina il ministro della Giustizia (il quale seleziona i sei giuristi laici da affiancare agli altri sei islamici nel Consiglio dei Guardiani), i vertici delle Forze Armate e il Consiglio del Discernimento, che dirime le controversie tra Parlamento e i Guardiani.

Il potere informale, invece, ha visto l'ascesa di una ristretta élite clericale "combattente", i cosiddetti patriarchi, ormai anziani e in via di estinzione, simili ai nostrani "boiardi di Stato".
Questi hanno gestito i principali poteri politici ed economici, tramite il controllo delle bonyad, le potenti fondazioni religiose.

Ad ora il potere è in via di transizione verso la seconda generazione, quella "del fronte", più bellicosa, nazionalista e radicata in ambienti militari e paramilitari, come i potenti Pasdaran.
Tendenzialmente più conservatrice, le sue posizioni sono state rafforzate dalla denuncia USA del trattato sul nucleare (Jcpoa), cosa che ha accresciuto la sfiducia negli statunitensi e in un sistema internazionale non disposto a rispettare le prerogative dell'IRAN.



RELIGIONE

LA Rivoluzione Islamica ha portato al potere formale uno dei secolari poteri informali, il Clero Sciita.

La componente religiosa ha sempre legato con la questione dell'autorità: chi dovesse guidare la comunità, chi fosse autorizzato a stabilire i dettami religiosi, chi possedesse la conoscenza necessaria a interpretare il Corano, stabilirne la correttezza testuale e il significato ultimo.
Il problema si pose subito dopo la morte di Maometto, in assenza di indicazioni precise lasciate dal Profeta.
Una parte consistente dei seguaci riteneva che la leadership dovesse rimanere all'interno della famiglia di Maometto.
Tale fazione (traduzione di si'a, da cui sciismo) è il primo nucleo dello sciismo dei dodici imam (duodecimano), il numero di guide riconosciute dalla dottrina cristallizzata nel XI secolo.

Ecco che col tempo la rete informale di sapienti amanuensi che trasmettevano gli insegnamenti coranici si trasforma in un'organizzazione di dottori in legge, dotata di apparato ideologico e rivendicante una funzione di controllo sociale e politico.
Un momento cruciale fu nel XIX secolo la definizione teologica della dottrina del marga'iyya, secondo cui i fedeli devono scegliere un marga'al-taqlid, il più sapiente dei sapienti, come riferimento dell'ortoprassi: base della khomeiniana dottrina del velayat-e faqih.


Lo Sciismo si definì razionalista contro gli elementi esoterici e, al massimo, ha contemplato misticismo e filosofia (Khomeini ne era cultore) e mal tollera il sufismo, la cui interpretazione individualistica del rapporto con Dio e la Scrittura mette in ombra il ruolo del Clero.
Correnti minori permangono nel sottosuolo religioso, dai citati sufi allo shaykhismo, fino a teologie moderniste, riformiste, financo femministe (sic!)

Da rimarcare, infine, il fatto che lo sciismo trascende i confini iraniani: le iraqene Nagaf (tomba del primo imam e prestigioso luogo di formazione del clero) e Karbala (sito del martirio del terzo imam, metà di pellegrinaggio più importante e simbolica per gli sciiti) sono considerate fondamentali città sante.



ECONOMIA

L'Economia iraniana presenta un marcato dualismo politico. Si suddivide in un settore pubblico, uno semipubblico e quello privato.

Il settore pubblico comprende una grossa fetta delll'industria (siderurgia, petrolchimica, petrolio, automobilistica) e diverse banche.
Il suo peso è aumentato dal 1979, quando si decise di nazionalizzare tutto; oggi si stima si aggiri attorno al 60% dell'economia.
I dirigenti statali sono spesso ingegneri finemente istruiti.

Il settore semipubblico, circa il 20% dell'economia, è costituito dalle fondazioni e dalle aziende di proprietà dei pasdaran. Tra queste quelle religiose (bonyad) sono istituzioni secolari deputate a occuparsi dei luoghi sacri.
Grazie alle donazioni, per esempio, la Fondazione Astan Qods è divenuta un enorme agglomerato economico con interessi in tutti i settori.
Esistono anche fondazioni che gestiscono beni confiscati ai capitalisti vicino al deposto Scià, le quali hanno ufficialmente scopi sociali (come occuparsi delle famiglie dei martiri della guerra IRAN-IRAQ), anch'esse evolutesi in attori molto potenti.
Non sono soggette a tassazione e rendono conto solo alla Guida Suprema.
I pasdaran hanno sfruttato l'esenzione fiscale per autofinanziarsi.
Numerose le joint-venture con imprese estere.

Infine, il settore privato, l'ultimo 20% (soprattutto agroalimentare, edilizia e trasporti), è fortemente limitato dalle conseguenze della Rivoluzione e soffre la concorrenza impari con le fondazioni e una certa sfiducia nella giustizia commerciale e nel sistema fiscale.

L'intera economia vive l'impasse della dualismo tra il governo del presidente eletto dal popolo, che tenta l'apertura verso i mercati esteri, e il Rahbar, che controlla il Parastato in nome di un'"economia di resistenza", in aperta contraddizione.
Molti dirigenti pubblici e politici sono contrari agli investimenti stranieri perché percepiscono tali operazioni come perdite nette di influenza.
Tutto ciò impedisce all'IRAN di riformarsi e utilizzare appieno il proprio potenziale, dato che, a differenza di molte altre economie mediorientali, quella iraniana disporrebbe di una base produttiva non esclusivamente dipendente dal settore energetico, grazie agli sforzi di industrializzazione degli anni 50 (l'export di persiani è in media superiore a quello del resto del Medio Oriente e del Nord Africa).
Altre criticità sono la disoccupazione e la corruzione, con punte alte di disoccupazione giovanile e laureati demansionati.
Infine, il settore bancario, sottocapitalizzato e caratterizzato da costi di funzionamento molto elevati, andrebbe ristrutturato.



SICUREZZA & FORZE ARMATE

L'apparato di sicurezza iraniano somiglia a quello dei regimi autoritari: all'esercito di leva e alla polizia si affiancano servizi di informazione, unità paramilitari e l'immancabile controllo ideologico.

Tutto è presieduto dalla Guida, forte di una  misteriosa guardia personale di ben 5 mila pasdaran, il quale, forte della triplice funzione di principale interprete del diritto, Guida della Rivoluzione e comandante di tutte le Forze armate, nomina personalmente tutti i vertici militari, paramilitari e il Capo di Stato maggiore.
Al Presidente spetta, invece, proporre il capo della Polizia e presiede il Supremo Consiglio per la sicurezza nazionale.
Nominando i ministri ed essendo i Servizi organizzati in un apposito ministero (il ministro dei Servizi Segreti, Vaja,  è equiparato per legge a un ecclesiastico con il rango di giurista), il Parlamento ha formalmente un'influenza maggiore nella nomina dei vertici rispetto a quanto avviene nelle democrazie occidentali.
Gli ecclesiastici, infine, sovraintendono all'indottrinamento politico: in virtù della loro padronanza del diritto, essi vigilano affinché il monopolio statale della forza sia esercitato conformemente alla legge, tramite uffici politico-ideologici presenti in ogni struttura e uffici di "protezione e ricognizione" che fungono da servizi di informazione e controllano anche la propria organizzazione.


Le Forze Armate (Artesh) hanno i tradizionali compiti di difesa dell'integrità e del territorio nazionale.
Risparmiate dal massiccio cambiamento post rivoluzionario per evitare potenziali sacche di resistenza filomonarchiche addestrate e ideologicamente motivate, ne fu cambiato il quadro dirigente e, invece, mantenuta la struttura organizzativa, reintegrata nelle sue funzioni.
Esercito: 300 mila soldati, la componente numericamente più rilevante.
Degne di nota le Unità di comando delle Forze speciali terra-aria, che dispongono di teste di cuoio e unità per la guerra psicologica.
Aeronautica: 30 mila uomini, mai rifondata delle perdite della guerra con l'IRAQ, in fase di importante ammodernamento, soprattutto F4 invisibili ai radar.
La trasformazione dei commando antiaerei, forti di 12 mila uomini, in un corpo a sé evoca il carattere difensivo della dottrina militare iraniana.
Marina: 18 mila effettivi, flotta risalente agli anni 60, 4 corvette classe Arvard e varie fregate; ultimamente maggiormente presente in acque internazionali

Naja: le Forze di Sicurezza (la nostra Polizia) sono la fusione di polizia, gendarmeria e truppe di frontiera, uniti per rimpiazzare i temuti comitati rivoluzionari del '79.
Identità e tradizione connotano la Naja, in particolare le truppe di frontiera.


Pasdaran: le Guardie della Rivoluzione, fusione di diverse milizie islamiche unite dalla fedeltà a Khomeini, specularmente alle forze militari hanno unità di terra, mare e aria (annoverante la prestigiosa arma missilistica), un proprio Stato maggiore, servizi di informazione e controspionaggio, oltre a due unità speciali: antiterrorismo e quelle a protezione della Guida.
Vivono la concorrenza del Vaja nell'antiterrorismo come un affronto, accentuando la faida risalente a quando, nel 1984, il Ministero dei Servizi fu creato attingendo ai quadri migliori dei pasdaran.
Infine, il comando collegato al conglomerato economico Hatamolanbyia, componente importante nell'economia nazionale.
Un modo per i pasdaran di estendere l'influenza è quello di creare comandi temporanei con incarichi specifici (i c.d. qarargah, comandi di intervento), assumendo un importante ruolo nella sicurezza interna, grazie alla loro duttilità e specificità.


Forze Quds: formazioni di proiezione estera (Libano, Siria, Afghanistan, Sudan, Bosnia) con importanti compiti di coordinamento tra milizie locali, siriane, irachene e militari russi.
La loro elevazione a forza armata ne conferma l'importanza politica dell'operato.


Basij-e Mostaz'afin (Mobilitazione degli oppressi): forze paramilitari che svolgono compiti di ausilio alla Polizia e di mobilitazione ideologica delle masse. Ricevono formazione ideologica, militari e di polizia dai pasdaran.; attivi nella guerra cibernetica, soprattutto nel monitoraggio di Internet e nella difesa da attacchi hackers.
L'appartenenza ai basji comporta numerosi privilegi in svariati ambiti, anche negli studi.



Bibliografia


Lauri M., Ērānšahr: l'Iran tra impero e nazione, in "LIMES", 7/2018

Pedde N., Chi comanda l'Iran?, in "LIMES", 7/2018
Cancian A., Qom-Karbalā'-Naĝaf, ilcome triangolo sciita, in "LIMES", 7/2018
Coville T., Il peso delle sanzioni sulla stabilità dell'Iran, in "LIMES", 7/2018
Posch W., L'Iran in armi, in "LIMES", 7/2018

lunedì 18 febbraio 2019

Zamagni e la 4° Rivoluzione industriale

Stefano Zamagni, insigne economista cattolico, riflette sulle implicazioni economiche, sociali e spirituali della crescente innovazione tecnologica a cui stiamo assistendo.




Mentre nelle tre precedenti rivoluzioni industriali c'è stata una scoperta o innovazione di rottura (1784, macchina a vapore; 1870, elettricità e chimica; anni 70 del 900, informatica) nella quarta non avviene ciò, bensì la convergenza dei frutti maturi della rivoluzione informatica: nanotecnologie, biotecnologie, tecnologie dell'informazione e scienze cognitive (note con l'acronimo di NBIC).

Alla base della tesi di Zamagni vi è la considerazione che la Quarta Rivoluzione non è riducibile unicamente a paradigma tecnologico, bensì rientra nella più ampia accezione di Progresso: un cambiamento verso il meglio che contempla, in contemporanea e indissolubilmente, le dimensioni socio-relazionale, economica e spirituale, quest'ultima non per forza nell'accezione religiosa, ma intesa come il sorgere di nuove consapevolezze individuali e, soprattutto, collettive.

Un esempio a noi noto è il Boom italiano a cavallo degli anni 50 e 60: crescita non solo economica, ma socio-relazionale (movimentismo e associazionismo diffuso, a livello politico e sindacale) e spirituale (l'educazione di massa permette l'accesso di massa a nuovi orizzonti di pensiero, dato che, banalmente, più aumenta il nostro vocabolario più pensieri formuliamo e di qualità).




DIMENSIONE SOCIO-RELAZIONALE

Il punto focale di Zamagni è analizzare tale dimensione con lente del rapporto tra l'Uomo e il Lavoro nella Modernità.

Fondamentale la concezione della Scuola, una delle principali agenzie di socializzazione, secondo la Sociologia, ove si forma l’animalità sociale, di aristotelica memoria, dell’individuo.

Si è passati dalla persuasione smithiana che il lavoratore debba investire in educazione continua per non perdere abilità e individualità, anche tramite l'intervento dello Stato, al lavoratore "alla Babbage-Ricardo" che grazie alla divisione del lavoro non ha necessità di apprendimento prima di entrare nel processo produttivo.

Anzi, più è ristretto il contenuto di conoscenza di ciascuna mansione meno si deve apprendere prima di iniziare.

Due concezioni si vanno confrontando: l'uomo persona e l'uomo macchina.
La tendenza verso quest'ultimo paradigma sta portando ad una vera e propria emergenza educativa: la formazione/istruzione ha preso il posto dell'educazione.

Cosi il maestro-insegnante non è più educatore, ma è colui che deve solo favorire il processo di apprendimento ovvero di autoformazione.

E lo spirito critico (pensiero divergente) viene sostituito con la logica binaria (pensiero convergente) in cui l'alunno deve solo rispondere affermativamente o negativamente ad uno stimolo che non viene messo in discussione.

Chiaramente, Zamagni auspica una Scuola che formi l'uomo persona.




DIMENSIONE ECONOMICA

Organizzazione del lavoro obsoleta, calo della produttività, Jobless Growth, disoccupazione tecnologica, queste le criticità nella Quarta Rivoluzione.




ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO OBSOLETA


Zamagni affronta il progetto Industria 4.0 (intelligenza artificiale, robotica, genomica, informatica, tra loro collegate in una relazione moltiplicativa per ridurre sprechi, raccogliere info dal processo lavorativo e rielaborarle in tempo reale, anticipare errori della progettazione tramite la virtualizzazione della fabbrica, valorizzare appieno la creatività del lavoratore, incorporare specifiche richieste del cliente in tutte le fasi del processo di produzione) non solo dal punto di vista dell'innovazione tecnologica, ma come la necessità del change management, cioè una radicale modifica nella gestione del lavoro: invece che la classica struttura di rapporti gerarchici, rapporti cooperativi e una cultura della partecipazione.


CALO DELLA PRODUTTIVITÀ’

Ecco spiegato il "paradosso di Solow" sul calo di rendimento di produttività in un periodo ad alta innovazione tecnologica: la strategia di impresa non è al passo con l'innovazione tecnica, cosicché le procedure da mezzi diventano fini, ostacolando la produttività.

Dunque, l'odierna organizzazione del lavoro richiede abilità di tipo relazionale: empatia, propensione al lavoro di squadra, autonomia.

Ma ciò cozza con la tendenza capitalista a ridurre il lavoro a merce e il lavoratore, pezzo sempre sostituibile dell'ingranaggio produttivo, come consumatore.
Merce & Consumo, i due supremi strumenti storici della Valorizzazione del Capitale.

Da non sottovalutare una conseguenza negativa della rivoluzione digitale: l'accettazione di prospettive epistemologiche che privilegiano la verosomiglianza (pensiero analogico) rispetto alla verità (pensiero filosofico-scientifico): l'analisi della realtà diviene interpretazione secondo modelli matematici di approssimazione affidati ad una capacità computazionale odierna esponenzialmente crescente.

"La correlazione è sufficiente, possiamo smettere di costruire modelli teorici"
(Chris Anderson, The End of Theory, 2008)

Ma in tal modo si viene a negare il fondamento stesso del metodo scientifico.
Abbandonare la categoria della causalità significa confondere la descrizione della realtà dalla sua spiegazione e interpretazione.
E senza spiegazione e interpretazione non si dà alcun progresso scientifico.


DISOCCUPAZIONE TECNOLOGICA

C'è sempre stata dai tempi del Luddismo, riassorbita dalle nuove possibilità offerte dall'innovazione tecnica.

Il problema è che l'accelerazione tecnologica è mutata da intergenerazionale a intragenerazionale spiazzando i disoccupati "tecnologici", che non riescono a riciclarsi nel mercato del lavoro.

In più la sostituzione del lavoro con capitale oggi investe non solo il lavoro manuale, ma anche quello immateriale dei c.d. "colletti bianchi", rimpiazzato non dalle macchine ma dalle nuove tecnologie: queste sono job killer per tutte le attività basate passivamente su procedure standardizzate, dunque ripetitive; da qui il fenomeno della Jobless Growth: crescita economica senza aumento occupazionale.

Ciò ridetermina la piramide del lavoro (alla base i lavoratori con conoscenze generiche, mentre si salgono i gradini della piramide con l'avanzamento degli studi svolti); ora assomiglia più ad un clessidra: si ricercano sia esperti e super-specializzati nelle nuove tecnologie sia chi esegue i compiti standardizzati nei gradini bassi della gerarchia lavorativa.

Ciò che va riducendosi è la domanda di livelli intermedi di competenza e specializzazione.




Per questo Zamagni propone di investire nel Settore sociale dell'economia, trasferendovi lavoro liberato da quello capitalistico: beni comuni e relazionali (servizi alla persona, la c.d. care economy; beni meritori; green economy, alcuni tipi di beni pubblici locali; industrie creative; cultura).
La loro caratteristica è che trattasi di beni che possono essere prodotti e fruiti in modo ottimale soltanto da coloro i quali ne sono, a un tempo, gli stessi produttori e consumatori (da qui la nuova categoria di prosumer).



DIMENSIONE SPIRITUALE

L'autore analizza i valori ottimali per l'economia sociale: fiducia e responsabilità.




"La Fiducia è la nuova valuta dell'economia mondiale"
(R. Botsman, Di chi possiamo fidarci, Hoepli, 2017)

La Fiducia è alla base di ogni scambio economico, legale e relazionale; soprattutto oggi, dato che Globalizzazione e Quarta Rivoluzione industriale hanno reciso i tradizionali legami (di sangue, di religione, di tradizione).

Alla diminuzione della fiducia istituzionale di tipo verticale fa riscontro un aumento della fiducia personale, cioè quella orizzontale tra persone.

Di qui il dilemma: l'attuale sistema economico chiede sempre più efficienza per accrescere benessere materiale, ricchezza e sicurezza, ma per farlo decumula irresponsabilmente il patrimonio fiduciario ereditato dalle generazioni passate.




"La Finanza, dove si desidera fare agli altri ciò che si desidera loro non facciano a noi.."
(Albert Carr, Is Business BluffingEthical?, in Harvard Business Review, 46/1, 1968)

Il tema della Responsabilità è, forse, più cruciale.

Dalla metà degli anni 70 la responsabilità sociale delle imprese è stata sostituita dagli standard etici dei giochi: se un'azione non è strettamente illegale, e può dare profitto, allora compierla è quasi un obbligo per l'uomo d'affari.
   
E' l'individualismo radicalizzato nel libertarismo che trova un limite solo nell'insieme delle possibilità della propria azione.

Volo ergo Sum

Dunque, ogni limite alla volitiva potenzialità è considerato limite alla libertà individuale.

Ecco che il Mercato diviene istituzione connotata dall'impersonalita' dello scambio e dalle motivazioni esclusivamente auto-interessate degli attori economici, escludendo qualsiasi sentimento o moralità.

Cosi si arriva alla dicotomia tra Mercato, sfera dell'egoistico interesse individuale, e Stato, luogo della solidarietà e degli interessi collettivi.

Secondo Zamagni occorre abbandonare il cinismo e pessimismo antropologico alla base di tutto ciò e recuperare il principio di Fraternità.




La Solidarietà non basta

(un'organizzazione sociale che renda eguali i diseguali in nome della Giustizia sociale, secondo la logica dell'equivalenza).

Col principio di Fraternità l'organizzazione sociale permette agli eguali, in dignità e diritti fondamentali, di essere diversi, secondo le proprie capacità e aspirazioni.

Una società fraterna è anche solidale, ma non viceversa.

Il criterio guida ne è la Gratuità, che si sperimenta nella Famiglia, secondo la logica della Sovrabbondanza.
Dalla Gratuità è possibile la Speranza.
Speranza di una Società migliore.

Perché una società che si basi solo sul "dare per avere" e "dare per dovere" non è capace di futuro.