sabato 20 luglio 2019

IRAN ieri, oggi, domani: il fattore generazionale


Il problema dell'IRAN è la mentalità bellicosa di parte della Seconda Generazione,
oggi in ascesa.

La reazione da parte dei maggiori comandanti  iraniani all'uscita di Trump dal JPCOA è stata "finalmente!".
E parliamo del Capo di Stato Maggiore (Mohammad Bagheri), del Comandante delle Forze Armate regolari, dette Artesh, (Abdolrhaim Mousavi) e di quello dei Pasdaran (allora era Ali Jafari).


Questi sono diventati adulti durante la guerra con l'IRAQ, negli anni 80. Come si dice in Lucania, "tenias'a gherra'n capa" ("hanno la guerra nella testa").

Gente cresciuta col martello in mano non può affrontare i problemi se non come chiodi.

Si badi bene: non dei montanari afghani, ma ragazzi dotati che hanno interrotto l'Università per arruolarsi contro l'Iraq e che poi terminarono gli studi alla fine delle ostilità.

Bagheri, ingegnere meccanico ed esperto di intelligence, ha conseguito un dottorato in Geografia Politica e insegna nell'Università delle Forze Armate (Supreme National Defense University di Teheran).


Jafari è laureato in Tecnologia Civile e ha insegnato all'Accademia delle IRGC, sempre nella Capitale, specializzata nell'Irregular Warfare.


Su Mousavi, purtroppo, vige una totale carenza di informazioni biografiche,
      

ma è lecito supporre che abbia una formazione superiore, dato che anche l'attuale comandante dei Pasdaran, Hossein Salami, è ingegnere meccanico con tanto di Master in Defense Management.


Insomma, per quanto istruiti, gli attuali vertici militari iraniani hanno passato gli anni migliori della gioventù "in trincea": ciò non può non influire sulla loro mentalità.

E c'è di peggio: il mitico Comandante dei Qods dal 1997, Qasem Soleimani, è passato direttamente dalla zappa (figlio di contadini al confine afghano) al kalashnikov ed è pure montanaro.
Scelto per la sua conoscenza del confine con Herat, tuttavia è a capo della principale forza di proiezione militare all'estero dell'Iran, la quale ha come mission la liberazione di Gerusalemme DAGLI ebrei (il nome completo, al-Quds, significa "La Città Santa", cioè il Santo Sepolcro, considerato tale anche per i musulmani). No good for Peace.


La realtà affiorante da tale breve indagine di Sociologia militare, sommaria ma a mio giudizio già indicativa, contrasta con il fatto che il 60% di iraniani è under 30, la cosiddetta Terza Generazione, figlia del baby boom a cavallo tra anni 80 e 90, e a questi non interessa nulla di guerra o nemici.
Cosmopoliti, urbanizzati, ascoltano musica iraniana e occidentale, bypassano il blocco governativo su internet tramite VPN (nel 2011 si contavano ben 28 milioni di internauti e fino a 110 mila blog attivi), perlopiù secolarizzati, orgogliosi di essere persiani, ben consci dell'ostilità degli arabi, invidiosi della civiltà iraniana, loro superiore in Storia, Arti e Scienze, e molto ben propensi verso Turchi e Israeliani (a differenza, riguardo quest'ultimi, della Seconda Generazione).

La Terza Generazione vuole vivere in pace e prosperità.


I giovani non capiscono perché lo Stato debba spendere in Siria e Yemen risorse utili per l'economia interna e per creare lavoro.
Il tasso di disoccupazione giovanile è del 28,30% su una fascia 15-24 anni di ben 10,28 milioni di individui; cioè quasi 3 milioni di giovani a spasso.
Contando che su una popolazione attiva (15-64 anni) di 58,727 milioni la disoccupazione è del 12,2%, pari a 7,164 milioni, lo sforzo bellico all'estero è visto come inutile e incomprensibile, soprattutto in regime sanzionatorio statunitense & Co., con limitate risorse economiche e un'inflazione più che galoppante, ma non ancora iperinflattiva.

Il problema è che al potere sta prevalendo una generazione cresciuta col kalashnikov.

L'Iran è in "finestra demografica", come dicono gli addetti ai lavori, cioè vive quei 30/50 anni in cui la popolazione cresce e si ringiovanisce; cosa che, se ben gestita, può portare un Paese ad evolversi enormemente (vedi l'Italia del Boom), sfruttando l'energia mentale e fisica della gioventù, unendola ad un diffuso e buon sistema d'istruzione, graduale apertura controllata dell'economia, crescita degli scambi, opportunità reali e percepite di ascensori sociali.


L'Iran ha tempo fino al 2030/2035, ma sta mancando l'opportunità di cogliere il cosiddetto dividendo demografico.


È uno dei paesi a più alto tasso di fuga di cervelli e non ha una politica al riguardo (proprio perché i decisori attuali sono cresciuti più con armi che libri in mano).

I giovani iraniani all'estero si reggono sul welfare familiare, come accade in Italia, ma non capiscono la dirigenza del proprio Paese.

Seconda e Terza Generazione parlano lingue diverse.

La colpa è della Prima Generazione.

Non ha colpevolmente tenuto in conto che la Demografia è prevedibile, proprio perché ha tempi lunghi, e in base alle tendenze in atto su tassi di natalità/mortalità e speranza di vita si può costruire una piramide demografica realistica.


Questo significa che l'Iran, come l'Italia, ha grandi potenzialità di popolo a tutti i livelli, ma individualmente non riesce a guardare aldilà di una generazione.

USA e Cina sono egemoni perché programmano a distanza di due/tre generazioni.
Anche i loro decisori anziani programmano per la Nazione aldilà della loro vita.


La strategia trumpiana di rinegoziare l'accordo nucleare con i persiani, condita con la ormai consueta pressione economica e il gioco di aperture/chiusure, è controproducendente perché così facendo va a rafforzare le ali più estreme e bellicose della politica iraniana.
Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti.


Il regime change non è possibile perché è una questione generazionale.
Per cambiare l'Iran secondo i desiderata statunitensi bisognerebbe eliminare metà della Generazione del Fronte.
Capiamo tutti che non è cosa fattibile.

Così come sappiamo che non è orograficamente attaccabile con una riedizione di Desert Storm: lì il deserto non c'è, sarebbe un secondo Afghanistan.


L'unica alternativa efficace sarebbero le atomiche tattiche e questo l'élite militare iraniana lo sa; ecco perché sta arricchendo l'uranio: per non fare la fine di Gheddafi o Saddam Hussein (vedi Kim Yong-un).

Resta un inquietante quesito di fondo.
E se alcuni paesi e/o parti di élites di essi istigassero gli iraniani proprio per arrivare a queste reazioni?
Basterebbe fornire alla Generazione del Fronte un nuovo FRONTE.
E se fosse una strategia di controllo della reazione proprio per ottenere QUESTA reazione?


Il miglior modo per dissipare il dividendo demografico iraniano è far sì che Teheran dirotti molte risorse nell'economia di guerra, anziché fare prosperare il proprio popolo, dotato di grandi potenzialità.

Una cosa è sicura: le intellighenzie che stanno "gestendo" l'escalation in Medio Oriente hanno frequentato Università e seguito studi qualitativamente migliori dei miei.
E se riesco a pormi io tali congetture, figuriamoci loro..

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