venerdì 28 febbraio 2020

Le anime della Norvegia: il Pacifismo


Le iniziali debolezze strutturali hanno indotto la giovane Norvegia ad uno status internazionale pacifista conservativo. La rendita petrolifera ha poi permesso di declinarlo in pacifismo attivo.


Pienamente indipendente solo dal 1905, povera e affetta da una tardiva industrializzazione, la giovane Norvegia optò subito per un posizionamento internazionale pacifista. Il Paese scontava debolezze strutturali territoriali (difficoltà di controllo) e demografiche (esiguità della popolazione). Inoltre la politica di potenza del tempo era assai costosa e il Regno poteva vantare una reale vocazione non bellicosa - la doppia emancipazione, dai danesi nel 1814 e dagli svedesi nel 1905, avvenne, infatti, senza ricorrere alle armi.

L'istituzione da parte dello Storting, il Parlamento, del Premio Nobel e l'impegno per i consessi internazionali, come la neonata Società delle Nazioni, divennero la politica estera norvegese; d'altra parte, è tipico dei piccoli Stati contribuire all'espansione del Diritto Internazionale e dell'uso dei trattati arbitrali.


Nella prima metà del Novecento il paese norréno ha proseguito la politica di neutralità, cercando di rafforzare i propri legami con la Gran Bretagna, la potenza militare mondiale del tempo, anche a livello dinastico: il primo re, Haakon VII, era sposato con una nipote della regina Vittoria d'Inghilterra e loro figlio Alessandro, futuro Olav V, era il numero dodici nella linea di successione al trono britannico; cosicché frequenti e altamente simboliche erano le reciproche visite tra le due famiglie reali. Il 9 Aprile 1940, in seguito all'invasione tedesca della Norvegia, fu proprio a Londra che reali, governo e capi delle forze armate ripararono.

Nel secondo dopoguerra la Norvegia continuò ad allinearsi alla politica estera e di sicurezza inglese, rimanendo in disparte al progetto europeo, aderendo, poi, nel 1960 con la Gran Bretagna nell'associazione liberoscambista EFTA, e, infine, tentando, invano, di seguirne il percorso di adesione alle Comunità Europee.


Dopo il fallimento del referendum di adesione alla CEE nel 1972, con il mutamento del quadro internazionale, la fine di Bretton Woods e i litigi all'interno degli accordi di libero scambio EFTA, la Norvegia sostituì l'ala protettiva inglese, in inesorabile declino, con quella statunitense.

Il Paese stava ormai cambiando anche internamente: la povertà diffusa era stata sconfitta grazie alle politiche di Welfare State e il petrolio apriva rosei scenari di rendita mai immaginati prima di allora.

Dagli anni '90, la NATO, di cui la Norvegia è tra i fondatori, è vista principalmente come un progetto di pace volto a garantire sicurezza e peacekeeping. L'idea di essere una nazione di Pace ha sempre avuto un profondo e vasto consenso nella popolazione norvegese, creando così un continuum che riprendeva il neutralismo anteguerra.


Ora la Norvegia ha le risorse per attuare una politica di coinvolgimento (engasjementspolitikk), cioè una politica di pace attiva, su cui vi è un totale accordo delle forze parlamentari: diventare una "grande potenza umanitaria" (è dello Storting il primo Libro Bianco sui diritti umani, 1977), in primis attraverso l'ONU, arena centrale degli sforzi norvegesi, di cui ebbe la prima presidenza (Trigve Lie, 1946-52), e in cui il paese nordico suole presentarsi come "un giocatore di squadra", un facilitatore, un attore invocabile per compiti delicati in virtù di non avere interessi diretti identificabili.

La diplomazia norvegese ha percorso il sottile terreno del multilateralismo in situazioni anarchiche di assenza di valori condivisi tra le parti in causa. La conformità ai suggerimenti ONU - come il destinare l'1% del bilancio all'assistenza allo sviluppo - è un indicatore dello status di promotore delle organizzazioni internazionali di cui la Norvegia vuole apparire come capofila. D'altra parte il risvolto della politica di coinvolgimento è un attivismo umanitario, essendo le casse pubbliche nell'invidiabile ed apprezzata posizione di poter stanziare risorse per mantenimento della pace internazionale.


Il Paese, dopo la caduta del muro, ha gradualmente riconvertito le strutture statiche della difesa nazionale, aduse alla coscrizione universale maschile, in strutture più flessibili - reparti speciali, élites di professionisti - come le forze di polizia internazionale, adatte in contesti di post-conflitto, coltivando capacità di  nicchia.

La Norvegia punta al dispiegamento di truppe in luoghi lontani per dimostrare la propria solidarietà internazionale, come avvenuto in Kosovo e con l'aeronautica in Libia nel 2011. Coerentemente con tale impostazione, il Paese non ha partecipato alla seconda guerra in Iraq, interpretata come atto unilaterale statunitense, ritirando il battaglione del genio già presente sul posto. Il risultato dello sforzo norvegese viene premiato con rilevanti uffici nei consessi mondiali, come la nomina dell'ex premier Jens Stoltenberg a segretario generale della NATO nel 2014.

In finale, il pacifismo distintivo dello status norvegese si è arricchito negli anni '90 di una componente "attivista" grazie alle possibilità di spesa derivanti dai proventi della rendita petrolifera, costruendosi nel frattempo una vetrina mondiale grazie al premio Nobel, la cui fama e prestigio non ha eguali al mondo tra oltre 300 riconoscimenti analoghi esistenti per la promozione della pace.

Anche se operativamente indipendente, il comitato dell'istituto è eletto dallo Storting e i suoi membri sono ex ministri ed ex parlamentari, il ché significa che,  anche se non è un organo della macchina statale, il Nobel è uno strumento effettivo di politica estera norvegese.


Nuove sfide. La centralità persa dopo il 1989 nelle strategie missilistiche nucleari della Guerra Fredda aveva relegato il paese scandinavo nella periferia geopolitica sia della NATO sia dell'Europa. Oggi, lo scioglimento della "sentinella silenziosa" glaciale ha aperto nuovamente, e questa volta ineluttabilmente, il teatro artico come una sfida aperta sul fianco nord statunitense. Alla militarizzazione delle coste nord russe si è aggiunto il dinamismo economico cinese in tutta la regione, toccando il ventre molle groenlandese, il cui indipendentismo può avere esiti inaccettabili per Washington (da cui la recente ri-proposta d'acquisto dalla Danimarca).

La Norvegia, dunque, oggi si trova nell'inedita condizione di essere un potenziale crocevia geografico di contrastanti interessi geopolitici e la sua storica tradizione pacifista sarà messa seriamente alla prova, tra aggressive fobie di accerchiamento russe, esuberanza commerciale cinese e crescente attenzione dell'Alleanza Atlantica per il quadrante artico (basti ricordare le recenti esercitazioni NATO, Trident Juncture 2018, proprio sul suolo norvegese, e Northern Coasts 2019 nel Mar Baltico, nonché la rediviva II Flotta statunitense ripristinata a Norfolk).
Insomma, come recitavano i latini, "Si vis pacem para bellum"..



Bibliografia

AA.VV., Small States and Status Seeking Norway’s quest for international standing, Edited by Benjamin de Carvalho and Iver B. Neumann, Routledge, 2015

K. Heidar, Elites on Trial, Persus, 2000

P. J. Books, Norwegian Social Democracy, From Revolution to Consumerism in the Norwegian Welfare State, Independently published, 2018

Gianna Chiesa Isnardi, Storia e cultura della Scandinavia, Bompiani, 2015

Andrea Lucarelli, I partiti norvegesi e l'Europa (tesi di laurea), 2004

L'Iran moderno secondo Rokkan & Lipset


Per vecchi studenti di Scienze Politiche e lettori di Limes, Eurasia e via dicendo, l'Iran è una realtà geopolitica che suscita vivo interesse. Hegel stesso ne era attratto, in quanto popolo "storico". La Persia ha esattamente le due caratteristiche citate che la rendono attraente: è un Popolo ben definito, con una Storia millenaria dai contorni ben delineati (lingua farsi, zoroastrismo), ed è hegelianamente "storico", cioè ha una sentita coscienza di sé.

Ciò che rende ancora più affascinante i diretti discendenti degli Ariani è la particolarità di aver sempre trovato una "via iraniana" alle influenze esterne subite (da ultimo la trasformazione dello Sciismo in una propria versione dell'islamismo), una capacità di evolversi e rimanere contemporaneamente sé stessi.

Nella sua lunga storia la Persia ha avuto molte vite. Per capire in parte l'Iran oggi torna utile la teoria dei cleavages di Rokkan e Lipset. I due politologi norvegesi svilupparono una intelligente teoria per interpretare le varie anime che caratterizzano i popoli nelle differenti fasi storiche. L'idea è che esistono delle fratture divisive attorno alle quali si formano e si oppongono le coscienze dei gruppi sociali. E generazionali, nel caso iraniano. Dicotomie come Città-Campagna, Chiesa-Stato, Potere centrale-Potere periferico, e relativi momenti storici epocali, come la Rivoluzione Francese, Waterloo, il 1848, le guerre mondiali, sono alcuni illuminanti esempi.


Per inquadrare in siffatto modo l'Iran moderno, si possono individuare tre avvenimenti-frattura: due interni, la Rivoluzione Islamica del 1979 e la Guerra con l'Iraq 1980-1989, e uno esogeno, Internet, soprattutto dal momento della sua evoluzione e diffusione Social via smartphone (2008/9). A queste si è legata cronologicamente la mentalità delle tre generazioni iraniane degli ultimi quarant'anni, quella del Clero combattente, quella del Fronte e, infine, quella degli attuali under 35, il 70% della popolazione.

Trattandosi di specifici blocchi sociali, viene in soccorso la chiave di lettura sociologica sulla creazione identitaria e le necessarie (ma non sufficienti) propedeutiche contrapposizioni che la creano.

In Psicologia sociale, per un gruppo è importante individuare un avversario al  fine di compattare le fila, ma non basta per garantirne la sopravvivenza (basterebbe l'eliminazione della minaccia indicata per fare venir meno le fondamentali motivazioni aggregative): occorre avere un'ideologia proattiva, un sistema di idee costituenti una weltanschauung positiva non meramente oppositiva (volendo adottare un'accezione neutra del termine "ideologia")


PRIMA FRATTURA, la Rivoluzione Islamicain essa si identifica la Prima Generazione, riconoscendovi il proprio momento fondativo in contrapposizione con il laicismo filo occidentale della precedente cultura "Pahlavi". L'ideologia è la religione islamicapromossa e difesa nella società dal clero detto combattente. Il corollario è l'identificazione del Nemico nell'Occidente (il grande Satana statunitense) e le sue propaggini mediorientali (il piccolo Satana israeliano), nonché nel suo sistema di valori libertari.

Come si pongono le altre due generazioni riguardo al primo cleavage della Rivoluzione del '79? Quella del Fronte ne ha preso alla lettera la parte oppositiva in forza della quasi immediatamente successiva e nodale esperienza della Guerra contro l'Iraq, suo cleavage costitutivo, come vedremo subito dopo. La Terza Generazione, invece, è distante dalla Rivoluzione morale del'79, non solo cronologicamente, ma anche grazie ad Internet e ai Social, i quali hanno consentito la penetrazione dei modelli occidentali (mondialisti, diremmo oggi).


SECONDA FRATTURAla Guerra con l'Iraqprincipio della coscienza della Seconda Generazione, per la quale la Rivoluzione è una condizione bellicosa senza fine. Mentre il Clero combattente si riempiva la bocca contro i nemici della Nazione, i giovani della Seconda Generazione ne vivevano le mortali conseguenze sui campi di battaglia, elevandole a supremo scopo della causa rivoluzionaria. La Rivoluzione è stata risemantizzata dalla Generazione del Fronte come lotta continua: da qui la continua tendenza a mantenere alta la soglia dell'attenzione combattiva, da Israele all'Arabia Saudita agli Stati Uniti.

La Prima Generazione sa che dovrà essere sempiternamente grata e riconoscente verso i martiri degli anni '80 e ha concesso status speciali e privilegi ai loro familiari e discendenti, creando forze militari e paramilitari (Pasdaran e milizie Basji) e un comparto economico (le Fondazioni) paralleli nella Società. E ciò blocca le opportunità della Terza Generazione al di fuori dell'orbita clientelare e parentale della Seconda.

La Terza Generazione, invece, è tanto avulsa dalla Rivoluzione islamica quanto dalla logica della "Lotta continua" che oggi viene sapientemente riattizzata dai fomentatori, bipartisan, di tensione in Medio Oriente. I giovani non capiscono perché lo Stato debba investire in Siria, Irak e Yemen risorse utili per l'economia interna e per creare lavoro e, genericamente, benessere interno.

Il tasso di disoccupazione giovanile è del 28,30% su una fascia 15-24 anni di ben 10,28 milioni di individui; cioè quasi 3 milioni di giovani a spasso. Contando che su una popolazione attiva (15-64 anni) di 58,727 milioni la disoccupazione è del 12,2%, pari a 7,164 milioni. Naturale che lo sforzo bellico all'estero sia visto come inutile e incomprensibile, soprattutto in regime sanzionatorio statunitense & Co., con limitate risorse economiche e un'inflazione più che galoppante, ma non (ancora?) iperinflattiva.


TERZA FRATTURA, Internet e i Social. Oggi tutto è in Rete. Anche mentalità, modelli e stili di vita esteri con cui venire a contatto. Abbattute, così, le barriere geografiche e le possibilità di contaminazione culturale, giovani di Teheran assomigliano a quelli delle grandi città europee, americane ed asiatiche.

La Terza generazione è figlia di internet e dei social. In Rete ha visto cosa c'è nel resto del mondo e, semplicemente, vuole vivere in pace e prosperità, disinteressata a bellicosi richiami nazionalistici moraleggianti. La mentalità datata delle altre due generazioni, unita alla carenza di ascensori sociali (l'Iran sconta, per ciò, un'altissima fuga di cervelli), sono un collante bastevole per indirizzare le rimostranze dei giovani verso un anelito di maggiori libertà e opportunità sociali, economiche ed espressive (gli artisti sgraditi al regime vengono arrestati)

Cosmopoliti, urbanizzati, ascoltano musica iraniana e occidentale (molti artisti persiani hanno potuto esprimersi solo all'estero), bypassano il blocco governativo su internet tramite VPN (nel 2011 si contavano ben 28 milioni di internauti e fino a 110 mila blog attivi), perlopiù secolarizzati, orgogliosi di essere persiani, ben consci dell'ostilità degli arabi, a loro giudizio invidiosi della civiltà iraniana, considerata loro superiore in Storia, Arti e Scienze, e molto ben propensi verso Turchi e Israeliani.



Prima e Seconda generazione non possono fermare la modernità, ma si stanno attrezzando per neutralizzarla: i social sono stati un importante nuovo strumento di coordinamento nelle proteste del Gennaio 2018 e il Governo punta esattamente al controllo della Rete domestica per limitare le potenziali minacce allo status quo. Il silenziamento della Rete sta ormai divenendo un'efficace arma di censura e controllo sociale (ricordiamo: i blackout egiziani nei giorni della caduta di Mubarak nel 2011 e nelle operazioni anti-Isis nel nord del Sinai nel 2018; il recente isolamento internautico del Kashmir, durato ben cinque mesi, nella democratica India).

Così anche l'Iran, varato nel 2016 un proprio progetto infrastrutturale di Rete domestica (NIN, National Information Network), per legittimi scopi difensivi in quello che ormai è considerato il Fifth Domain, quello cyber, ha recentemente utilizzato la sospensione del segnale internet per motivi di pubblica sicurezza (o repressione, a seconda dei punti di vista).

Riassumendo schematicamente:


Molto ci sarebbe ancora da dire, ma ci si riserva di sviscerarlo in future variazioni sul tema. Per ora basti confrontare l'Iran che traspare  dal filmato sull'incoronazione dell'ultimo Scià nel 1967 al passaggio di consegne da Ahmadinejad a Rouhani nel 2013: da una parte un paese colorato molto simile all'Europa del tempo, dall'altra tristi manifestazioni in grigio e nero in moschee che nemmeno riscaldano il cuore degli iraniani, che è zoroastriano, loro antica e peculiare religione, di cui conservano evidenti tracce (l'anno nuovo persiano, il Nowruz, inizia il 21 Marzo, secondo un calendario solare diverso dal gregoriano, e quest'anno l'Iran sarà nel... 1399 - Sic!)
Il sapore di involuzione è molto amaro e ricorda l'analogo percorso fatto nello stesso lasso di tempo, ma per altri motivi, da quella che un tempo era ritenuta la "Svizzera del Medio Oriente", il Libano.

venerdì 21 febbraio 2020

Russia, SWIFT, Banche e Oligarchi: il conto è aperto


Diversificazione dei circuiti finanziari esteri e ristrutturazione bancaria: la ricetta russa per non dipendere né dalle strutture monetarie occidentali né dall'incombente peso economico cinese. 


1° Settembre 2014. l'Inghilterra di James Cameron avanza istanza presso l'UE per estromettere la Russia dallo SWIFT, il maggiore sistema globale di transazioni finanziarie, in risposta all'occupazione russa della Crimea.

11 Novembre 2014. Ramilya Kanafina, vicedirettore del dipartimento nazionale dei sistemi di pagamento presso la Central Bank of Russia (d'ora in poi CBR), dichiara che "la ... Russia sta creando il proprio sistema per la trasmissione di messaggi finanziari".

26 Dicembre 2014. la CBR comunica "che ha fornito alle organizzazioni creditizie un nuovo servizio per il trasferimento di messaggi finanziari in formato SWIFT per le operazioni nazionali in Russia".

Febbraio 2015: anche Obama, appoggiato da Cameron, paventa lo spettro dello scollegamento del circuito bancario russo dallo SWIFT.

22 Marzo 2017: Elvira Nabiullina, governatore della CBR, comunica a Putin che "Abbiamo ... aggiornato il nostro sistema di pagamenti e, nel caso in cui dovesse accadere qualcosa nel paese, tutte le operazioni nel formato SWIFT procederanno normalmente. Abbiamo creato un analogo SWIFT ...".


Sede della Central Bank of Russia

La Federazione ha così varato un'alternativa allo SWIFT, lo SPFS (acronimo cirillico che sta per "Service for transfer of financial service messages") e un relativo circuito di carte bancarie, il MIR. Ma ciò vale solo nel territorio russo, nell'Unione Economica Euroasiatica (Bielorussia, Kazakistan e Armenia) e in Iran.

Nel 2019, insieme a Cina e India, ha iniziato a lavorare ad un sistema di pagamento interbancario transfrontaliero alternativo allo SWIFT. Da una parte la Cina intende portare avanti il suo progetto di internazionalizzazione dello Yuan e dall'altra l'India vuole proteggere i dati interni tramite un proprio sistema di pagamenti, il Rupay.

In vista di una maggiore integrazione tra i circuiti finanziari russo e cinese, già nel Marzo 2018, all'VIII Forum Internazionale Russia-Cina, Vladimir Shapovalov, dirigente capo dell'ufficio relazioni con i regolatori esteri della BCR, comunicava che alcune banche russe avevano aderito al sistema di pagamento interbancario transfrontaliero cinese CIPS (China International Payments System).

Sebbene l'India non abbia ancora un sistema di messaggistica finanziaria nazionale, prevede di combinare la piattaforma della Banca centrale russa con un servizio domestico in fase di sviluppo.

Aldilà dei progetti di cooperazione finanziaria alternativa ai circuiti dominanti (SWIFT, CHIPS, FEDWIRE, RIPLE, di cui gli ultimi tre con sede negli USA), è interessante conoscere la struttura e la recente evoluzione del sistema bancario russo, soprattutto in un mondo ove anche questo settore è ormai connesso alla Rete.


Elvira Nebiullina, governatore della CBR

Dal Giugno 2013 al timone della Banca centrale russa c'è una delle donne più discrete e potenti del mondo, Elvira Nabiullina, che, dopo un inizio in organizzazioni industriali, è da ben venticinque anni un tecnico al servizio del paese nei vari Ministeri economici, fino a divenire ministro dal 2007 al 2012.

Le principali banche sono tutte pubbliche: Sberbank (BCR maggiore azionista), VTB, (quasi interamente di Rosimushchestvo - la Federal Agency for State Property Management - il Ministero delle Finanze e la State Corporation Deposit Insurance Agency), Gazprombank e Rosselkozhbank (direttamente e indirettamente controllate dalla già citata Rosimushchestvo).

Da notare i rami in cui si sono specializzate: Sberbank banca universale (importante azionista di Yandex, il Google russo), VTB difesa e armamenti, Gazprombank oil e & gas (ma anche proprietaria dell'unica TV non ufficialmente statale, NTV), Rosselkozhbank il comparto agricolo (letteralmente, significa, infatti, "Banca Agricola Russa").

Altro dato saliente è che sotto la presidenza Nebiullina si è registrata un'importante contrazione degli operatori bancari, da 400 a 800, e i maggiori beneficiari sono stati proprio i "magnifici quattro" di cui sopra, i quali ad oggi rappresentano il 60% del totale per patrimonio netto e il 65% dell'ammontare sia dei crediti che dei depositi.

A ciò si aggiunge la particolarità che la BCR opera anche nel settore non bancario, come quello assicurativo, oltre ad essere responsabile della politica monetaria e della regolamentazione e vigilanza bancaria interna. Una caratteristica dell'economia russa è che le più grandi banche fanno parte di gruppi che includono compagnie assicurative e fondi pensione privati, e i rischi sono mescolati. Per Nebiullina "per vedere il quadro completo è difficile guardare il settore bancario da solo. È ... necessario esaminare le relazioni tra banche e altri membri di un gruppo finanziario".



22/03/17: Putin riconferma Nabiullina alla guida della BCR

Nel colloquio del 2017 con Putin, il governatore della BCR denuncia i mali sistemici bancari che hanno portato alla revoca della licenza a centinaia di istituti e società finanziarie, che "stavano prendendo parte all'economia sommersa ed erano coinvolte in operazioni dubbie". Ancora nel 2016, tra deflusso di capitali illegali e tentativi di trasformazione dei fondi in contante, Nebiullina calcolava il danno in 10 miliardi di $ l'anno, rispetto ai 60 di inizio mandato.

In uno studio del 2018, i tre economisti Piketty, Zucman e Novokmet hanno rilevato la discrepanza tra l'attivo della bilancia commerciale russa e gli investimenti netti all'estero degli ultimi vent'anni: avrebbero dovuto essere oggi circa il 300% del Pil, compresi interessi e rendimenti maturati, e non appena 26% delle cifre ufficiali.

Qualcosa sta cambiando nella gestione del rapporto tra Stato e oligarchi. La dirigenza russa sa che non può più permettere, con un occhio chiuso, il depredamento dei capitali interni. La ristrutturazione bancaria e la concentrazione verso pochi grandi attori pubblici mostrano l'intenzione di controllare i flussi monetari e indirizzarli verso specifiche aree di sviluppo. La Russia ha bisogno di investire in modo proficuo le risorse, perché il crescente divario economico con Pechino prima o poi si farà sentire sul piano geopolitico a proprio svantaggio.

Ironia della sorte, la Russia, per non dipendere in futuro dalla Cina, ne deve adottare il modello bancario e creditizio "State driven".

Energy storage and alternatives

And what are the different forms that energy can be currently stored in? We have the traditional ones, because if you talk about energy sto...